Mese: febbraio 2017

Investimento: come funziona l’aumento di capitale in opzione

Nelle proposte di investimento è spesso contenuto a carico della società un obbligo, secondo cui, a fronte dell’erogazione di un primo finanziamento, è tenuta a riconoscere all’investitore un’opzione a sottoscrivere futuri aumenti di capitale.

Quali sono gli effetti di una clausola, che prevede un’offerta in opzione per la sottoscrizione dell’aumento di capitale?

In primo luogo, il diritto di opzione è previsto nell’ambito di un aumento di capitale mediante conferimenti (c.d. aumento a pagamento o reale), che consente alla società di raccogliere nuove risorse finanziarie.

L’art. 2481 bis, comma 1, cod. civ. stabilisce infatti che, in caso di decisione di aumento di capitale a pagamento, i soci hanno “il diritto di sottoscriverlo in proporzione delle partecipazioni da essi possedute” (cd. opzione). Ogni socio è quindi messo nella condizione di mantenere inalterata la propria partecipazione al capitale sociale e di conservare quei diritti che, per legge o in base allo statuto, gli spettano in proporzione alla sua partecipazione. L’offerta in opzione deve però essere consentita dallo statuto, in cui può essere previsto che l’aumento di capitale sia realizzato attraverso un’offerta di nuove quote a terzi. In tal caso, è esclusa o limitata l’opzione.

Nel caso in cui sia consentito dallo statuto, il diritto di opzione può essere esercitato dal socio secondo le modalità stabilite nella decisione di aumento del capitale. È onere degli amministratori comunicare ai soci il termine entro cui sarà possibile sottoscrivere l’aumento di capitale. La comunicazione può essere fornita sia attraverso l’invio di un avviso al domicilio del socio risultante dal Registro delle Imprese sia direttamente in assemblea se ad essa vi partecipino tutti i soci.

Il termine per l’esercizio dell’opzione non può essere inferiore a 30 giorni decorrenti dal ricevimento della comunicazione inviata dalla società con l’avviso di offerta delle nuove quote. Il termine di 30 giorni non può essere ridotto. In ogni caso, i soci possono rinunciare con una decisione unanime al termine di legge in riferimento allo specifico aumento di capitale deliberato.

Nella delibera di aumento può essere prevista infine una specifica regolamentazione inerente alle quote inoptate. La decisione dell’assemblea può consentire che la parte di aumento non sottoscritta da uno o più soci venga sottoscritta da tutti gli altri soci, che l’hanno già eseguita per la parte loro spettante, e/o da terzi.

Avv. Marco De Paolis

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Limiti alla cessione delle quote dei soci fondatori: la durata massima del lock up

Negli statuti o negli accordi di investimento inerenti alle startup e, in generale, a società non quotate, sono frequentemente inserite clausole con cui ai soci fondatori, i quali detengono la maggioranza del capitale, viene imposto l’obbligo di non cedere la loro partecipazione (cd. lock up).

La scelta di investire in una certa impresa è spesso basata in maniera preponderante sulle capacità tecniche e di gestione dei founders. L’introduzione del lock up si giustifica, quindi, frequentemente su questa circostanza.

Per quanto tempo possa essere limitato il trasferimento delle quote è oggetto delle osservazioni che seguono.

Il lock up costituisce una deroga al principio previsto per le società di capitali della libera trasferibilità delle azioni e delle partecipazioni, sia per atto tra vivi, che a causa di morte (artt. 2355 e 2469, comma 1, cod. civ.). Gli artt. 2355 bis e 2469, comma 2, cod. civ. consentono, tuttavia, di limitare il trasferimento delle quote per 5 anni (società per azioni) e per 2 anni (società a responsabilità limitata).

Circa il lock up nella società a responsabilità limitata è emerso un orientamento che considera legittimo introdurre una clausola secondo cui, nel caso di un divieto temporaneo di trasferimento di quote, si può escludere la facoltà di recesso per l’intero periodo di intrasferibilità, anche se superiore a due anni (massima n. 152/2016 Consiglio Notarile di Milano).

Occorre però distinguere, per non vedere applicato il recesso previsto dall’art. 2469, comma 2, cod. civ., tra intrasferibilità delle partecipazioni sociali assoluta o parziale.

In caso di intrasferibilità assoluta, ovvero dell’intera partecipazione e senza limiti di tempo, la possibilità di recedere può essere bloccata per non più di due anni.

Invece, se l’intrasferibilità delle quote è temporanea o applicata a parte della partecipazione posseduta o a trasferimenti nei confronti di determinati soggetti o con corrispettivi diversi dal denaro, è legittimo escludere il diritto di recesso per l’intera durata del divieto di trasferimento, anche se superiore a due anni.

La presenza dei fondatori tra i soci è una garanzia per gli investitori nel processo di sviluppo dell’azienda. Tuttavia, la loro libertà di cedere o meno le quote possedute non può essere limitata per un periodo di tempo superiore a quello di legge, che è calcolato in misura sostanzialmente analoga a quello economico-finanziario, entro cui l’investitore può ritenere realizzabili il progetto di crescita dell’impresa e il ritorno sul capitale investito.

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Startup innovative: con l’azienda sponsor quotata si ottengono capitali e si cedono le perdite

Tra le misure dedicate alle startup innovative la Legge di Bilancio 2017 ha introdotto il supporto finanziario della cd. azienda sponsor.

Nella relazione illustrativa della misura si legge che essa è stata prevista al fine di ovviare  alla difficoltà di reperire risorse finanziarie nei primi esercizi, contraddistinti spesso dalla presenza di perdite, che limita la possibilità di sviluppo di molte imprese innovative.

Come funziona la misura?

La legge (art. 1, commi 76-80, L. n. 232/2016) consente alle startup, partecipate da società quotate (aziende sponsor) per almeno il 20 per cento, di vendere a queste ultime le perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta di attività.

Per la startup il beneficio si produce con l’applicazione alle perdite fiscali cedute dell’aliquota Ires relativa al periodo d’imposta in cui le perdite sono state conseguite. In sostanza, la  startup ottiene una sorta di finanziamento da destinare al proprio sviluppo. Per l’azienda sponsor si realizza, invece, per la possibilità di dedurre le perdite acquistate dal proprio reddito complessivo per l’intero importo, che vi trova capienza, nei primi tre periodi d’imposta, e per l’eventuale eccedenza negli anni successivi senza limiti di tempo. Si richiede, naturalmente, per l’operatività delle misura, che le perdite cedute siano riferite ad una nuova attività produttiva.

Si vuole, quindi, favorire un meccanismo, come è stato precisato nella nota governativa, secondo cui “gli imprenditori affermati aiutano nuovi imprenditori a crescere creando un ecosistema pro startup“.

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